giovedì 19 aprile 2012

a proposito di... Minima Mercatalia (parte VII)

 

Avvertenza e consiglio - Per la lettura di questo paragrafo e dei seguenti, e in generale per tutta la lettura del secondo capitolo, si consiglia il riferimento a questa pagina della risorsa filosofica online Filosofico.net - link all'argomento I sette sapienti ; link alla pagina-indice per la filosofia greca.

Nel paragrafo 2.3, qui in lettura, compaiono quali figure principali uno dei più noti tra i "Sette sapienti", Solone di Atene; nella seconda parte del capitolo ci si riferisce in modo significativo invece ai Pitagorici e a Pitagora.


In questa lettura continuo ad attenermi al metodo di individuare una o più citazioni significative selezionate secondo un gusto personale "di primo impatto" e possibilmente immediatamente interessanti per una comprensione complessiva dell'argomento. 
Non è facile tuttavia operare una scelta in questo capitolo, ricco di riferimenti molto specifici alla cultura e alla filosofia greca. Una volta di più raccomando dunque, soprattutto per chi ne abbia già una conoscenza almeno superficiale - e, tuttavia, anche per chiunque senta un minimo di curiosità al riguardo - la lettura completa almeno di questo secondo capitolo del libro. 
Si tenga sempre presente il filo conduttore, la chiave di lettura, per così dire, improntata alla questione del giusto mezzo come articolazione tra gli opposti mali dell'illimitato come illimitatamente abbondante e dell'illimitato come illimitatamente scarso - o, con le parole del testo, l'illimitato arricchimento  e l'illimitata povertà. Questo paragrafo 2.3 ci porta con Solone al cuore della pòlis greca, in Atene in particolare, alle prese con la ricerca della regola eminentemente sociale e comunitaria della misura e del limite. 
Varrebbe la pena, ma non se ne tratta qui, soffermarsi sul valore del "logos" greco e sulla triplice valenza del suo significato, resa molto chiaramente e con buona sintesi da Fusaro (M.M., pp.110-111).  
Altri punti concettuali di spicco, dei quali si rimanda eventualmente ad altra occasione la trattazione, sono il concetto di numero e la tavola delle opposizioni diadiche dei pitagorici (M.M., pp.108-110).
Cerchiamo di cogliere ora, con le parole di Fusaro, un "quadro generale" della filosofia greca in relazione con il problema dell'arricchimento e della dinamica iniziale verso una assolutizzazione del principio di arricchimento come principio economico. Il discorso di Fusaro richiama (nota n.207, nel testo) Andrea Tagliapietra, Il dono del filosofo. Sul gesto originario della filosofia, Einaudi, Torino 2009. 

"La storia inaugurata dalla hybris [superbia, in greco nel testo] crematistica come ricerca illimitata dell'arricchimento si affaccia, infatti, sullo scenario storico con i tratti di una costante violazione delle più sacre norme regolatrici dell'ordine naturale e sociale. Si tratta però di una violazione che, anziché essere punita dalla Dike [giustizia; in greco nel testo], è premiata dal successo delle nuove classi in ascesa. La filosofia si origina dunque al cospetto dell'insorgente rischio dell'irruzione dell'àpeiron [illimitato, in greco nel testo] nella vita comunitaria, nel contesto di una sempre più accentuata 'divisione del lavoro' e di una crescente complessità della società nel suo insieme, che manda in frantumi la visione unitaria della sapienza arcaica nelle competenze settoriali delle technai [le arti, le tecniche, in greco nel testo][...]" - Minima Mercatalia, p.105
 L'arricchimento illimitato viene qui ad evocare due principali aspetti interessanti. In primo luogo, si coglie l'occasione per notare di nuovo la chiamata in causa di una idea di giustizia, qui indicata nella "Dike" greca, principio divino che non esprime tanto la legalità, l'aderenza alle leggi giuridiche, quanto piuttosto, ancora una volta, l'aspetto sociale-etico della giusta misura nei comportamenti, del comportamento conveniente secondo il giusto principio che deve sempre essere osservato, in ogni cosa.
In secondo luogo, un rilievo particolare spetta alla seconda parte del passo, nella quale si evocano la "divisione del lavoro", la "crescente complessità della società nel suo insieme", le "competenze settoriali delle technai". 
Questi aspetti restituiscono con una buona impressione di sintesi il quadro di una società nella quale abbia dilagato il "male" del cattivo infinito-àpeiron, dell'illimitatezza
Questi aspetti, in effetti, restituiscono parimenti un'immagine che non appare in nulla diversa dal quadro sconfortante che si tende a dipingere in relazione alla nostra società "occidentale" contemporanea. 
E' chiaro che è proprio nell'effetto di questa "soprendente" (o non tanto?) coincidenza di situazioni che risiede in parte il senso del volgere lo sguardo alla filosofia e alla cultura greca per discutere dell'economia "del nostro tempo". 
La "divisione del lavoro", apparentemente invenzione dell'era industriale con le sue rivoluzioni, assume se mai il carattere di un problema ri-scoperto, oppure di una forma nuova di manifestazione di qualcosa di nient'affatto sconosciuto ad epoche assai più remote. 
Lo stesso dicasi per "la crescente complessità della società nel suo insieme". "Complessità", apparentemente scoperta modaiola dell'ultimo passaggio di secolo/millennio, che vedrebbe ogni campo del sapere affaccendarsi a decifrare vuoi la complessità dei codici biologico-genetici, vuoi l'aumento di interrelazioni sociali in rete, vuoi l'aumento di "emergenze" socio-economiche, di flusso di informazioni, di incertezza - etc. - in un caos che ben poco restituisce di scientifico se letto in sinossi tra le parti, non è forse solo la percezione in forma diversa di un problema nient'affatto nuovo, ed anzi così vecchio che ci saremmo dimenticati come farvi fronte? Se nessuno di questi due atteggiamenti estremi - considerare qualcosa come una novità mai vista vs considerare qualcosa come la solita cosa di sempre, che vale a dire niente di significativo, in termini di vulgata - ha dignità filosofica in sè, l'articolazione e il raffronto tra i due potrebbe ancora una volta aiutare a cogliere qualcosa di significativo. Il nesso tra ciò che appare in una forma del tutto nuova, da una parte, e, dall'altra, ciò che non appare mutare neppure al mutare di tutte le condizioni contingenti, diventa ancora una volta una chiave per cercare di comprendere. 
Passando attraverso questo esercizio si può (razionalmente e filosoficamente) sperare di volgere verso quella "visione unitaria" ("della sapienza arcaica") che si vede mandare "in frantumi" e lacerare nelle settorializzazioni da "idiotismo specialistico" (oggetto della denuncia di Lukàcs che Fusaro richiama altrove nel testo).
Il cuore del tema, tuttavia, non si trova evidentemente in nessuno dei singoli problemi qui rilevati e così stranamente comuni a società, quali la "nostra" e quella "dei Greci", che sarebbero tra loro divise da una così grande lontananza "nel tempo". Il cuore del tema, giova ribadirlo sebbene fin qui non se ne stia facendo chiaramente alcun mistero, si va a trovare a partire dalla questione dell'àpeiron e della sua "irruzione nella vita comunitaria". Ancora più radicalmente, l'illimitato, l'àpeiron, si legge, come tutto il lavoro mira a fare, nella strettissima connessione con il concetto di misura e di limite.
Buone letture!






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