martedì 10 aprile 2012

a proposito di... Minima Mercatalia (parte III)

"La contraddizione tra queste due differenti determinazioni - eternità e storicità, e di conseguenza tra le due diverse definizioni prospettate per la filosofia - è per Hegel solo apparente: infatti, la filosofia si occupa di ciò che è ed è eternamente, e si configura pertanto come una logica dialettica che non è mero metodo ma è ontologia, ossia compiuta teoria dell'essere e della sua dinamica immanente; e, insieme, ciò che è ed è eternamente non si presenta mai nella sua iperuranica immutabilità [...], ma si manifesta sempre temporalmente determinato in una storia concreta, in reali Gestaltungen spazio-temporalmente connotate." - Diego Fusaro, Minima Mercatalia, p.57 (par.1.3)
 Nell'intervento precedente era già questo il tema, che, annunciato nella chiusura del paragrafo, trova ora sviluppo nella densa esposizione del paragrafo 1.3.
Nella lettura continuiamo qui ad attenerci alle impressioni "a caldo", senza il corredo di un'analisi concettuale approfondita. L'esercizio appare difficile in un caso come questo: l'argomento è di massimo rilievo filosofico e "umano"; l'esposizione è densa di contenuto; il tema è dei più appassionanti per il lettore che personalmente si sta cimentando. 
Per questo scelgo il passo citato. Esso riprende un po' più estesamente il concetto preannunciato e già proposto in queste pagine (parte II): il "nesso tra verità e storia o, da una diversa angolatura, tra eternità e divenire" (M.M., p.53); "il nesso hegeliano tra verità e storia o, da una diversa prospettiva, tra eternità e temporalità." (M.M., p.56). 
Si coglie l'occasione dell'accostamento tra queste due espressioni per evidenziare un'altra volta la valenza del termine "angolatura", poco dopo reso con l'espressione "prospettiva": essi riguardano non tanto un punto di vista o una specifica osservazione, quanto invece evocano un modo di guardare, di considerare, che tende costitutivamente ad intessersi intimamente nella cosa stessa in quanto presa in considerazione. 
L'angolatura, la prospettiva, indica non solo una posizione dalla quale si colga un'immagine, bensì il modo stesso secondo il quale quell'immagine sia percepita e l'oggetto considerato si con-stituisca in quanto immagine. La prospettiva è in senso specifico una tecnica di rappresentazione nel disegno, con rigorose regole e forme: essa permette di rendere sulla superficie piana (per esempio quella del foglio di carta o della tela) l'impressione di percepire una tridimensionalità dell'immagine. Esistono vari tipi di prospettiva, a seconda delle regole di "conversione", per così dire, di "traduzione" delle misure tridimensionali in linee dello spazio a due dimensioni; il punto di fuga (o i punti di fuga) è il cardine dell'impostazione della struttura: è un punto, reale o immaginario, interno o esterno allo spazio della rappresentazione grafica, sul quale si fanno convergere materialmente o idealmente le linee della rappresentazione e della costruzione. E' questa impostazione strutturale del disegno a permettere l'"illusione" della tridimensionalità ed è questa stessa impostazione strutturale che, a seconda del tipo scelto secondo la specificità riguardante il punto o i punti di fuga, permette di dare risalto ad un dettaglio piuttosto che ad un altro (così per esempio una prospettiva centrale potrebbe esaltare le simmetrie dell'oggetto rappresentato, mentre un prospettiva di scorcio potrebbe rendere meglio il senso del rapporto tra l'oggetto e il paesaggio in cui si colloca, una prospettiva dall'alto permette di vedere la sommità di un edificio, altrimenti nascosta, ma potrebbe penalizzare la resa dell'altezza, e così via). 
Ciò che è importante notare è come la prospettiva, l'"angolatura", tenga dunque sì conto anche di quello che è un punto d'osservazione (un punto di vista) nonché di una posizione più strettamente "tetica" quale quella di un punto di fuga, ma, per l'appunto, con la nozione di prospettiva, di angolatura, si ha il complesso di regole che presiedono alla strutturazione e costruzione grafica della quale il punto di osservazione e il punto di fuga sono alcuni elementi, considerati gli uni con gli altri, e non un singolo elemento che di per sè possa esaurire il senso dell'oggetto preso in considerazione. In altre parole, un'espressione quale punto di vista in senso stretto indica un elemento parziale di una nozione complessa. Diversamente, "prospettiva" indica necessariamente anche in senso proprio una tecnica ben articolata, nel concetto della quale rientra necessariamente anche lo stesso elemento del punto di vista (ed, in più, inseparabilmente, il/i punto/i di fuga, la mediazione dei rapporti tra misure, la considerazione di una scelta stilistica etc.). La scelta terminologica appare molto felice.
La variazione da una "prospettiva" o "angolatura" ad una diversa, così, permette di cogliere la stessa cosa secondo termini variabili: la stessa cosa si traduce ora per esempio in termini di un nesso eternità-termporalità, ora in termini di un nesso verità-storia; non soltanto: la lettura in questo senso di ciò che si costituisce nei termini evocati permette, ancora, di accostarvi altre diadi, come indicano le espressioni riferite al "piano logico-ontologico" (p.61) e  al nesso "tra filosofia e verità" (p.61); si tratta di un assaggio della complessa struttura che articola un "nesso" in connessione molteplice di nessi-inter-connessi. Si sbaglierebbe, tuttavia, a voler qui leggere un complicato strutturalismo: complicata è solo la forma che l'esposizione di una realtà come quella della quale si tratta tende ad assumere, ma tra gli intenti di questo tipo di esposizione bisogna saper cogliere quello di mostrare come il senso che vi si presenta faccia capo a qualcosa di più originario e di più semplice, qualcosa che universalisticamente non si confonde con l'intrico delle forme manifeste. Si tratta qui, però, solo di voler dare un assaggio: questo discorso non può proseguire in questa sede specifica. 
Ciò che di nuovo merita di essere rilevato, come già si sta facendo, è la costante dell'idea di "nesso" che ricorre nell'esposizione (pp. 53, 56, 61 et alia). Un nesso, un collegamento, un'unione tra termini distinti non soltanto è possibile, ma è costitutiva ai fini di una comprensione e di un'articolazione del tema. Ora il nesso è connessione tra termini, ma un discorso è per la considerazione di un nesso specifico tra termini determinati (come nel caso in cui si tratti di mostrare, per esempio, il fatto che "eternità" e "divenire" si possano considerare in relazione tra loro secondo un nesso che li unisce; un altro discorso ancora è considerare specificamente il concetto di "nesso", tra qualsiasi termine che possa esserne interessato - il concetto di nesso, di unione, di con-nessione. Questo tipo di relazione è chiaramente parte cruciale del tema, ma bisogna accontentarsi di lasciarlo a margine, perchè propriamente non del concetto di relazione di connessione si tratta, ma di alcune specifiche figure che si considerano nei reciproci nessi. 
Una osservazione alla quale non rinuncio è tuttavia questa: laddove un nesso si dà tra determinazioni, così pure si tratteggia in forma più o meno netta e drammatica una contraddizione. Questo si affaccia con grandissimo interesse nell'esposizione del capitolo in lettura. Laddove si tratta del nesso tra determinazioni di "eternità" e "storicità" pure si deve rilevare (rilievo già ricondotto a Hegel, e tematizzato qui ulteriormente da Fusaro) una contraddizione. Si tratta di contraddizione apparente, e tuttavia tale da impegnare seriamente il ragionamento. In altre parole, non direi che si tratta di una falsa contraddizione, ma piuttosto di una contraddizione solo terminologica capace di esprimersi in una composizione logica. La contraddizione apparente non è ineffettiva: essa è in quanto si manifesta, ma non permane in quanto tale sul piano logico. Si tratta di una dissonanza al primo ascolto, di un tema che un successivo svolgimento armonico permette di riarticolare all'orecchio eufonicamente. Il "nesso" così come la parvenza/apparizione di una contraddizione fa parte della comprensione dialettica, che è oggetto e prima ancora metodo dell'opera: gli stessi termini evocati si comprendono secondo tale metodo. Così pure la nozione di "determinazione" assume correttamente il proprio significato allorché si tiene conto dell'andamento triadico di tesi-antitesi-sintesi che articola ogni posizione tetica in quanto tale in un avvicendarsi tra momento positivo e momento negativo, come avvicendamento solo parziale di ciò che si vada considerando. Si tratta di quella "logica dialettica" (p.57, nel passo qui citato in epigrafe), "che non è mero metodo ma è ontologia". 
Peraltro, ciò che "si manifesta sempre temporalmente determinato in una storia concreta" non esclude affatto ciò che partecipa anche della "iperuranica immutabilità". 
Tra essere  e divenire, si tratta di considerare questo aspetto, è dunque un nesso; resterebbe, come sullo sfondo, una questione che qui non ha da trovare luogo: sempre si darebbe tale nesso, in quanto necessario, ovvero esso può darsi, ma non necessariamente si dà? In altre parole, occorre pensare che un essere si trovi sempre in un manifestazione, ed in ogni manifestazione contingente sempre si trovi un'espressione di essere, ovvero tale nesso può trovarsi, in alcune (felici) manifestazioni qualificate, mentre occorre altresì immaginarsi una contingenza sottratta ad ogni relazione con una eternità d'essere, così come pure quell'essere iperuranicamente immutabile, che "sia" e tuttavia non si dia in alcuna manifestazione? Questo discorso, qualora affrontato minuziosamente secondo questa impostazione, sarebbe facilmente, ed ancora generosamente, attaccabile come la più folle idiozia: ciò che si vuole invece richiamare è che questo tipo di cavillosa interrogazione invita a dichiarare una presa di posizione (o anche la dichiarata rinuncia alla considerazione di una così specifica presa di posizione) circa il significato che si attribuisce al discorso che si espone. Poiché una cosa sarebbe intendere che sempre un nesso necessario si dia tra tutto ciò che è eterno e tutto ciò che è divenire, mentre altra cosa sarebbe intendere che un nesso possa darsi tra alcune cose che sarebbero eterne e alcune cose che sarebbero divenire, non sarebbe ozioso considerare questo aspetto. Il discorso evidentemente non riguarda questo livello di radicalità, e qui è meglio così. Mi pare, tuttavia, che non si potrebbe escludere nè un aspetto nè un altro e che più precisamente il discorso si imposti tenendo conto di una lettura nella quale si potrebbe precisare in che senso non sia quello il problema. Sostenere che, per esempio, un essere non possa essere altrimenti se non in quanto manifesto in una determinazione contingente tenderebbe ad escludere la considerazione di una trascendenza in quanto possibile non-determinato. Ciò tuttavia sarebbe da un lato una considerazione in accordo con quell'ipotesi particolare, dall'altro, invece, sarebbe in contrasto con il presupposto stesso della connessione rilevata, poiché un essere che si esaurisse nelle proprie determinazioni attuali non avrebbe ragione di venire preso in considerazione distintamente da esse. 
La struttura dialettica ha appunto il merito di porsi al di fuori della logica oggettivizzante di questo tipo di ostacoli al ragionamento. Non sarà eventualmente ozioso riprendere la questione. 
Come ultimo rilievo per il passaggio in lettura, un'osservazione logico-stilistica. Riprendiamo le due espressioni richiamate: 
il "nesso tra verità e storia o, da una diversa angolatura, tra eternità e divenire" (M.M., p.53); 
"il nesso hegeliano tra verità e storia o, da una diversa prospettiva, tra eternità e temporalità." (M.M., p.56);
teniamo a riferimento sempre il passo in lettura, e in particolare
le "due differenti determinazioni - eternità e storicità"; 
ora, le diadi particolari di termini che compaiono in questa brevissima rassegna sono le seguenti, già in parte rilevate: 
verità - storia; eternità - divenire; 
verità - storia; eternità - temporalità; 
eternità - storicità; 
ora, è curioso e forse potrebbe essere interessante notare che il termine "divenire" nella prima formulazione passa ad esprimersi nel termine "temporalità" della seconda; non si tratta di una diade diversa, perché la ripresa del discorso è puntualmente nei termini dell'introduzione che lo ha preceduto al termine del precedente paragrafo. La corrispondenza dell'altra diade, verità-storia, è in parte una conferma. In questo caso propriamente la stessa idea è stata resa ora come "divenire", ora come "temporalità", e questo potrà essere d'aiuto per discutere sulla valenza di queste nozioni e sui concetti che vi si riconducono. Se il termine " eternità" rimane come immutato nella sua resa, il divenire/la temporalità che vi fa da contraltare appare più sfuggente e sgranato nella sua determinazione, ora assumendo una forma, ora un'altra - di nuovo per significare la stessa cosa, con altre parole. Il portato di questo termine, divenire/termporalità..., sembra cogliersi (e non a caso) meglio nell'essere il contrapposto-connesso di "eternità", che non nella forma testuale della propria enunciazione lessicale. 
La terza rappresentazione diadica qui evocata è quella che compare nel passo in epigrafe a questa lettura, ed ecco che riprende ancora l'"eternità": "eternità"-"storicità". I termini fanno qui la loro comparsa con effetto di una figura retorica di chiasmo: si incrociano, ancora una volta a testimoniare quella con-nessione ed inter-con-nessione di nessi di cui si va discorrendo. Per il momento si può sospendere qui, non senza chiudere provocatoriamente: in questa raffigurazione che si è rintracciata per il discorso, un solo perno rimane centrale ed almeno apparentemente indiscusso: l'"eternità". 
Alla prossima lettura.

Nessun commento:

Posta un commento

Puoi fare le tue osservazioni nei "commenti"