giovedì 26 aprile 2012

a proposito di... Minima Mercatalia (parte IX)


"Rispondendo, il re dirà loro: In verità vi dico: ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me" (Mt 25,40)
Che cosa c'entra questa citazione evangelica, con una lettura come Minima Mercatalia? 
E' questa la (apparente?) "anomalia" del testo, che va a chiudere il secondo capitolo di Minima Mercatalia con quello che abbiamo chiamato già precedentemente (parte VI) un "finale a sorpresa". Sorpresa, come si preciserà e come si è accennato, in fondo solo "parziale".
La citazione qui riportata non è nella stessa identica traduzione di quella indicata in Minima Mercatalia (p.143) ma, del resto, il passo è ben noto. 
Il paragrafo 2.5 (La crematistica e il 'mare infinito della disuguaglianza') si conclude (pp.141-143) con un breve ma forte richiamo alla "figura di Gesù" (p.141 ss.).
Questo approdo sorprende solo in parte, se non per altro, almeno perché la "navigazione" di questo ultimo paragrafo vede trattati in primo piano, tra gli altri, i due "giganti" della filosofia, Platone e Aristotele, per poi andare verso una conclusione che riporta il viaggio sui propri passi, verso i territori "nostri" d'"Occidente". Se le radici antiche del pensiero, che Fusaro rintraccia, affondano in terra greca, d'altra parte è proprio il "passaggio alla visione cristiana del mondo" (p.140), veicolato attraverso quel colosso storico-politico che fu l'impero di Roma, a segnare e caratterizzare il prosieguo di questa avventura filosofica.
Fusaro traccia con grande acume sintetico questo passaggio verso una "onto-teo-logia sociale" - che vede "trasferirsi" in "cielo", per restarvi "fino al sorgere della modernità", "l'essere sociale" (p.140). Fusaro richiama brevemente e con efficace riferimento Tommaso Aquinate, con la sua Summa Theologiae, e Guglielmo di Ockham. Questi riferimenti sono tuttavia seguiti, immediatamente prima della chiusura del paragrafo e del capitolo, dalle tre brevi paginette che, tagliando corto su tutti i teorici, commentatori, pensatori, santi etc. succedutigli, radicano i concetti espressi indicando direttamente il cuore del messaggio evangelico. 
Più che il tema - che sorprende poco - è proprio questa struttura a sorprendermi come lettore. Mi sorprende (anche molto positivamente, ma non per questo meno criticamente) perché abbandona del tutto, da ultimo, una struttura ancora di fatto fin qui aderente ad una narrazione storica di tipo cronologico. Dopo aver tracciato il percorso tra i pensatori greci, il discorso fa un balzo in avanti a comprendere, nel pensiero cristiano, tutto il medioevo, fin verso le soglie dell'umanesimo pre-moderno. Di qui, per quel che riguarda i confini del secondo capitolo, nè accenna a procedere, nè rintraccia la cronologia in altri autori o altre opere o fatti storici: semplicemente, riconduce come ad un "punto" il discorso e va a sintetizzare il cuore di tutto il pensiero cristiano nella figura ("punto zero", per nulla a caso, della storiografia occidentale, articolata tra "avanti Cristo", a.C, e "dopo Cristo", d.C.) di Gesù e nelle parole evangeliche.
Il discorso proseguirà, prenderà percorsi di un altro genere, come già preannunciavano i primi paragrafi del libro. Tuttavia, in questo passo l'intero capitolo secondo ("Nulla di troppo. La metafisica greca del limite", pp.87-143) va a chiudersi sulle parole evangeliche, senza ulteriori commenti - in coerente ed elegante osservanza del principio di misura che è argomento di tutto il lavoro. 
In questo modo il paragrafo vede in scena, una all'inizio ed una alla fine, due figure - quella di Socrate e quella di Gesù - accomunate dal fatto che molto se ne è detto e scritto, se ne dice e se ne scrive, e molte parole sono loro attribuite - senza che faccia capo ad essi nessuno scritto attribuito di propria mano.
Tra queste due apparizioni veramente "epifaniche", per così dire, vanno in scena altri greci grandissimi: Protagora, Platone, Aristotele. 
Di Protagora basta già richiamare il concetto dell'"homo mensura", l'uomo misura di tutte le cose (p.128) per avere un'idea del discorso che se ne conduca. 
Per quanto riguarda Platone e Aristotele, è inutile tentare un sunto dei contenuti di questo capitolo, perché anche andando a leggerlo direttamente in Minima Mercatalia, il che non si può che consigliare vivissimamente, la "carrellata" di osservazioni ed evidenziazioni sul rilievo del principio di misura e di giusta limitatezza, ricchissima di spunti, già così chiederebbe se mai di approfondire il discorso attraverso la lettura diretta dei Dialoghi, della Metafisica, dell'Etica.
Nel discorso dedicato ad Aristotele vale la pena richiamare senz'altro la distinzione tra economia e crematistica (pp.136-139). Mentre l'economia, amministrazione della casa, si orienta al soddisfacimento di bisogni finiti per il consumo di una  ristretta e definita comunità, al contrario la "crematistica", accumulo tendenzialmente infinito di ricchezze, è la fame di arricchimento insaziabile e fine a se stessa, vero "cattivo infinito", che tornerà nell'opera. Misura fissata da bisogni finiti e "umani", da una parte, si contrappone, dall'altra, ad un illimitato vortice di falsi bisogni, che rovescia il mezzo per un fine specifico nella perversione di una auto-finalità, un esser di qualcosa fine per se stesso pur travestendosi da mezzo per definizione. La ricchezza priva di qualunque fine al quale possa servire diventa il fine-per-se-stesso che non per questo può elevare a fine il mezzo: il mezzo perde ogni finalità, ma vi si sostituisce per se stesso, nell'esaltazione della vacuità di ciò che per definizione si riduce alla nullità propria dell'in-utile. 
Questo passaggio è evidentemente cruciale e delicatissimo, ma del resto non è esaurito in questo capitolo. Nella lettura potrà giovare ritornarvi. Intanto, va tenuto presente come il discorso si declini, nel pensiero aristotelico, secondo l'immagine forte e ben chiara che contrappone alla crematistica, così stigmatizzata, l'economia in senso proprio. Non può sfuggire: ciò che siamo soliti udir nominare a titolo di "economia" somiglia, stranamente (?), un po' più a quella "cattiva crematistica" (cfr. p.139), "senza limiti", che non all'economia ("normazione della casa", cfr. p.137) in senso proprio. 
Nell'accingersi, ormai, al prosieguo della lettura, con i capitoli successivi, occorre riprendere un momento le fila del discorso.
Ci attende - lo sappiamo - la trattazione del primo momento, della prima fase, della dialettica del capitalismo: la fase "tetico-astratta".
E' ora chiaro, seppure ovviamente tutt'altro che esaurito nella sua discussione, il nesso tra questo discorso che seguirà e la "premessa", ad esso indispensabile, del soggiorno in terra greca che ci ha intrattenuti per tutto il secondo capitolo. Lungi dal porsi quale storicistico preambolo per un radicamento "antico" e meramente suggestivo, il discorso ha dato corpo e "peso", in concreto, al senso da imprimersi al concetto di "misura", di "limite", di limitato-illimitato come contrapposizione in cui cogliere dinamicamente il nesso di equilibrio come "giusto mezzo", "giusta misura". Si tratta - altro aspetto da non dimenticare - di un criterio orientato e com-misurato all'"uomo", all'"umano" in quanto realizzantesi in una dimensione comunitaria, politica in senso comunitario-sociale. 
Il secondo capitolo di Minima Mercatalia, nei suoi cinque paragrafi dei quali si conclude oggi la prima lettura personale "a caldo" qui proposta, conferma, tra le altre aspettative suscitate, anche e soprattutto quella di essere una lettura meritevole di essere ripresa come parte a se stante, come breve saggio sul senso del "limite" e della misura nella cultura e nella filosofia greca. Insieme con il lavoro di Preve e di Andrea Tagliapietra, sempre citati nella bibliografia di Fusaro, nonché con l'appoggio delle altre letture richiamate nella nutrita raccolta di note, è una mappa di partenza ideale per l'orientamento e l'esplorazione dell'argomento. 
Buone letture. 


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