sabato 24 marzo 2012

"To bring us outside ourselves": fuori di sè, tra ambizione e desiderio possibile di "trascendenza"

"To bring us outside ourselves", portarci fuori da noi stessi. Paul J.Ennis si esprime così riguardo ad alcune tra le più "alte" aspirazioni umane espresse in filosofia e in altre forme di espressione di pensiero, spirito e "cultura", per esempio l'aspirazione verso la giustizia, il bene, la "salvezza", il "divino".
"Only a Digital or Temporary Messiah can save us now" è il titolo dell'intervento che Paul J.Ennis presenterà alla prossima conferenza Thinking the Absolute alla Liverpool Hope University (dal 29 giugno al 1 luglio 2012).
Ennis legge a confronto Noah Horwitz e Quentin Meillassoux riguardo al tema della divinità, della giustizia e del futuro, come accesso a qualcosa di "assoluto". Ennis promette di soffermarsi su ciò che distingue significativamente l'approccio dei due autori con riferimento alle speranze riposte nella matematica, nel linguaggio e nella ragione come saperi capaci di avvicinare a ciò che si cerca sotto il nome di "assoluto".
Mi colpisce questa espressione, riferita a questo "accedere" ad un "assoluto": portarci fuori da noi stessi, "To bring us outside ourselves".
Tra tante espressioni di ossessioni identitarie, individuali o collettive, nonché altrettante demonizzazioni della stessa idea di "identitario", colpisce questo tratto pacificamente volto in una direzione trasversale: non il problema di essere o di non essere "se stessi", bensì quello di uscire da se stessi e, inoltre, non nel senso di saperci noi muovere al di là di noi stessi, ma nel senso dell'essere qualcosa d'altro a portarci fuori da noi stessi, "outside ourselves".

http://anotherheideggerblog.blogspot.it/2012/03/only-digital-or-temporary-messiah-can.html
link all'abstract del paper di Paul J.Ennis in presentazione alla prossima conferenza Thinking the Absolute a Liverpool

lunedì 12 marzo 2012

Penso di non saperlo spiegare, ma va bene così

Penso che si potrebbe fare un bellissimo discorso sui "limiti" della filosofia, a cominciare da quei begli aforismi che fanno riferimento al fatto che il sublime passo della ragione sia riconoscere che vi sono infinite cose che la ragione non comprende, o che vi sono tante infinite più cose in cielo e in terra di quante non ne contempli la filosofia.
Abbiamo già avuto occasione di riflettere con le parole scritte da Freud sulla pretesa di completezza dei sistemi filosofici e sulla loro inopportunità; Freud scomodava in quel passo il mitico Baedeker ottocentesco, per ironizzare sulle guide da viaggio per l'esistenza che i filosofi imbastirebbero, e ci metteva in mezzo il lancio occasionale di uno strale anticlericale (http://phideltabeta.blogspot.com/2010/10/singin-in-dark-cantare-nelloscurita.html).
Quello che qui mi importa dire è che a volte forse le cose sono più semplici; non per questo più facili. Bisogna anche saper "uscire" dalla filosofia se si pretende di indicare la porta d'uscita. Io dico "penso di non saperlo spiegare, ma va bene così", per passare a "penso di non saperlo spiegare e va bene così": va bene così proprio perché penso di non saperlo spiegare.
Si tratta di un atteggiamento acritico di banale e passiva accettazione?
No. Si tratta di un atteggiamento di accettazione; non ha molto di banale quanto meno perché è difficile e non comune; si tratta di una accettazione che richiede più attività che passività - o, è un po' contorto, mi spiace, richiede una certa attività per assumere un atteggiamento passivo corretto. Si tratta di un atteggiamento non a-critico, nel senso che implica un preciso giudizio sul suo valore, sebbene si tratti di un atteggiamento criticamente assunto nella direzione di una sospensione o meglio ancora astensione dalla critica. Si tratta di un esercizio di fiducia non ingenua - difficoltà non da poco a mio avviso, ma nulla di impossibile.

Collegamento a Blaise Pascal, Pensées http://etexts.free.fr/filos/moderni/pascal_pens.zip