martedì 19 ottobre 2010

Quo pretio?

A che prezzo? Qual è il prezzo, per qualunque cosa si consideri? 
Che prezzo e valore non siano la stessa cosa, è un discorso.
Ma proprio per questo è importante chiedersi la definizione che si dà da parte nostra sia dell'uno sia dell'altro.
Se vogliamo, per esempio, mettere a raffronto un valore con un prezzo, il valore di una cosa con prezzo che vi è correlato, occorre condurre due discorsi separati. Di solito il problema più frequente sembra quello della attribuzione di valore - forse appare come un problema più astratto, dalle maggiori implicazioni necessariamente da considerare come questioni metafisiche, ma, soprattutto, bisogna considerare che il "prezzo" è normalmente considerato nella nostra quotidianità come qualcosa di già determinato - e, dunque, ai fini di una generica considerazione quotidiana, come un dato da prendere per certo e immodificabile. 
I prezzi con cui abbiamo più facilmente occasione di cimentarci, in altre parole, sono, nella maggioranza dei casi e per la maggiore generalità di noi, "prendere o lasciare", senza margine di contrattazione.
Quello che mi sembra in effetti più pacificamente tacitamente disposto ad una contrattazione continua è proprio quello che dovrebbe apparirci più relativamente stabile per ciascuno nella sua individualità - il valore. Ma, ancora, è un altro versante del discorso.
Quando ci chiediamo "qual è il prezzo", "a che prezzo", quo pretio, intendiamo molte situazioni possibili, e di una certa gravità, in barba alla banalità quotidiana della domanda - "Quanto costa?"; "aspetti, vediamo l'etichetta... 50, ma da scontare, in saldo fanno 35, ma si affretti perché è l'ultimo pezzo"; "Ah... se ne prendo due me li fa a 30?"; "Mi spiace; quella promozione è finita la scorsa settimana; la direzione non ci lascia fare i prezzi, comunque questo lo prenda perché è certo che non scende più, le conviene". A questo punto spesso compriamo, o forse diciamo "ci penso"...
Ma qual è invece il prezzo che siamo disposti a pagare - non solo quello monetario: un "prezzo" di cui quello monetario sia solo uno degli esempi possibili? Quali sono i costi che entrano in gioco nelle nostre valutazioni quotidiane, a qualunque livello?
Si dice - credo soprattutto da parte di chi è il primo a contribuire a questo tipo di "realtà" - che "nessuno dà niente per niente"; non ci credo: se fosse così, tanto varrebbe non enunciare con tanta veemenza e occasionale amarezza alternata a rassegnazione una banalità lapalissiana quale potrebbe essere "il sole sorge all'aurora". No, penso che, invece, ci sia qualcosa come ciò che quella dichiarazione spera di negare: qualcosa come la gratuità
Che cosa significa? Significa il senza-prezzo: ciò che non comporta nè la riscossione nè la quantificazione nè la presupposizione di una merce di scambio. 
E', come è facile immaginare, un concetto che affatica molto il pensiero; non importa. 
A che prezzo accade ciò che mi accade? A che prezzo agisco come agisco? A che prezzo "vivo"? Queste cose di quando in quando ci capita di chiederci - spesso senza che pensiamo di volerlo. 
A che prezzo sei mio amico, a che prezzo mi stai accanto?
E' ragionando così che provo a dare una risposta al problema di qualcosa che appaia "costare più di quel che vale". Quando diciamo "non ce la faccio più", "non ne vale la pena", non stiamo soltanto dicendo che siamo scoraggiati o disperati: spesso stiamo soprattutto dicendo che il costo di qualcosa (magari proprio del vivere) è per noi diventato superiore al valore che vi attribuiamo. E' questa una delle rappresentazioni che ci restituisce una delle immagini più cariche della disperazione che sembra non lasciare scampo.
Quando qualcuno fa qualcosa per noi, in alcuni casi succede il miracolo della gratuità - è tutto-per-niente - anche se paradossalmente ottiene in cambio almeno per un momento il "tutto" dell'incommensurabilità della gratitudine. C'è qualcosa che quasi mi commuove nell'insufficienza con cui ci esprimiamo, cercando di adattare le nostre scarse metafore mercantilistiche all'incommensurabilità di qualcosa di "buono".
A che prezzo accogliamo la "bontà" nel nostro vivere, quella bontà che riconosciamo nel gesto di un amico, nell'impegno di una persona che incontriamo, per esempio?
Non necessariamente la gratuità spazza via assolutamente una nozione di prezzo. Gratuità è qualcosa che può mostrarsi pure piccolo e prezioso anche se accompagnato ad una banale logica di prezzo. Classico esempio può essere la gratuità del sorriso con cui il commesso ci consegna la merce che stiamo pagando in un negozio - di solito abbiamo la percezione di saper distinguere tra un sorriso mercificato, che serve soprattutto per farci tornare da clienti affezionati, e un sorriso "gratuito", quello che chiamiamo anche un vero sorriso, un sorriso autentico: quello di un essere umano ad un altro essere umano, che vuol dire piuttosto qualcosa come "non importa se siamo qui a giocare a fare il commerciante e l'acquirente, se siamo in un negozio, e chi siamo - io sono un io e tu sei un tu, senza che sappiamo come e perché ci siamo incontrati, e forse questo è bello, o forse no, e comunque è, e siamo noi". Due umanità in un traffico di umanità vaganti. Un sorriso nella folla, un sorriso tutto nostro. Un regalo senza prezzo.
A volte, allora, questa gratuità può manifestarsi almeno apparentemente al prezzo di una circostanza che comporta un preciso costo. Direi che potremmo parlare qui del prezzo di un'occasione - so che l'incontro con Tizio può essere occasione di incontro con una gratuità, un senza prezzo, un puro valore - eppure so anche che Tizio si trova precisamente in un luogo dal quale non si muoverà, per esempio una casa in un paesino un po' sperduto, lontano da me e poco frequentato. Io non so nemmeno se attraverso Tizio si manifesterà qualcosa come un gratuità, eppure mi aspetto in qualche modo che sia così. In ogni caso, sebbene tutto sia possibile, è probabile che per incontrare Tizio dovrò farmi carico del creare una specifica occasione. Questa occasione può essere un aspetto pratico che comporti un costo, un prezzo, preciso. 
Penso che anche quelli che chiamiamo i "difetti" di una persona possano rappresentare, sempre nelle nostre scarse metafore mercantili, un "prezzo" da pagare per l'occasione di godere del buono che può esservi in quella persona. 
E' chiaro, lo ammetto: questo discorso ha qualcosa di complesso e forse anche di complicato. Magari si può efficamente semplificare. Magari, invece, semplicemente non è "facile" - e la vita può essere semplice, ma raramente le si attaglia la qualifica di "facile".

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