mercoledì 6 ottobre 2010

"Just start": is it enough?

Just start: is that enough? Ne abbiamo parlato, di quando in quando. Così come abbiamo parlato del "va bene così", "good enough".
Combiniamo gli argomenti: cominciare, e basta, è "abbastanza"? Va bene-abbastanza, nel senso "virtuoso" dell'espressione?
Quando diciamo "just start", comincia, fa' il primo passo, "inizia e vedrai", l'idea è pressappoco questa:

ho in mente di fare una cosa
quello che ho in mente mi pare vago
i tentativi di chiarire quello che mi appare vago mi provocano sconforto, più confusione, blocco
se invece comincio a fare qualcosa, l'idea iniziale prende forma e dà impulso a delle realizzazioni

su questo quadro, il motto "fa' il primo passo", "comincia e basta", va bene: funziona. Perchè?
Alcune ipotesi.

1)Quello che avevo in mente non era così vago come sembrava - la vaghezza derivava per esempio da una elevata complessità, per cui ogni ipotesi di azione mi suggeriva una serie troppo ampia di possibili sviluppi, così da rendere eccessivamente gravosa la sua analisi astratta. In questo caso, non è vero che io trovi vago il quadro ipotetico di possibili conseguenze dell'azione iniziale, anzi! Il quadro è complesso e incompleto ma tutt'altro che vago - l'apparente vaghezza è data (per proseguire con una metafora visiva) dalla sovrapposizione simultanea di tracce ipotetiche eterogenee e ciascuna molto ben definita, sicché ciascuna rimane esclusiva e non si armonizza con le altre.

2)Quello che ho in mente mi appare vago perchè il coinvolgimento emotivo nel progetto è molto elevato (aspettative, desiderio di riuscita, paura di fallimento, ansia da incertezza) - il progetto magari non è nemmeno molto originale, molte persone appena un po' esperte potrebbero analizzarlo in termini matematico-probabilistici o statistici e saprebbero darci una valutazione scientifica delle azioni che intenderemmo intraprendere e delle più probabili conseguenze - a noi però questo non convincerebbe, quanto meno per il fatto che ci piace l'idea di rischiare e di mettere in gioco qualcosa; non sappiamo gestire l'incertezza che questo comporta, ma preferiamo così - e in ogni caso sappiamo, anche se preferiamo non riconoscerlo, che il nostro progetto è tutt'altro che incerto quanto ci piace credere.

Nel primo caso può darsi che il progetto sia effettivamente qualcosa di innovativo ed originale in termini generali: il rischio e la difficoltà che ci rappresentiamo sono rappresentabili in modo non errato come "oggettivi"; non sarebbe probabile trovare qualcuno che ci affiancasse e diradasse i nostri dubbi; molti potrebbero indicarci le buone probabilità di riuscita di ciascuna delle molteplici ipotesi, tuttavia sarebbe improbabile che avessero la capacità di ponderare una singola ipotesi con le altre; questo passaggio graverebbe sempre su di noi e il costo dell'impegno nella ricerca preliminare sarebbe sproporzionato rispetto a quello di intrapredere quella famosa prima azione e "vedere come va". In questo caso, "just start", l'importante è cominciare, appoggia validamente su un quadro molto ricco e complesso di prospettive, che sarebbero sviluppabili, ma per sviluppare le quali conviene cominciare ad agire.
La prima azione non cade nel nulla, ma si incanala secondo una serie di variabili volutamente non predeterminate e tuttavia astrattamente prevedibili. L'effetto di questa prima azione è di ridurre di un livello la complessità iniziale del progetto intrapreso.

Nel secondo caso l'approccio è meno razionale. Si prendono in considerazione dei profili emotivi, di grande importanza quando si tratta di intraprendere azioni che possono avere un impatto ad ampio raggio sul complesso della "nostra vita" - un conto è scegliere se convenga investire una quota aggiuntiva del 10% dell'investimento attuale in energia oppure in materie prime o in ricerca e sviluppo; un conto è decidere qualcosa di meno analitico: se lasciare o no un impiego, se fare o no un viaggio di un anno intorno al mondo; se fare o no un figlio, magari anche con chi; se iscriversi o no all'Università, e quale. Et cetera. Ma quando il discorso accede a questo livello di rilievo emotivo è chiaro che non ci importa molto analizzare gli aspetti matematico-probabilistici del progetto o dell'azione che abbiamo in mente. In questo caso quello che ci serve, nel compiere una prima azione, non è dipanare una matassa di ipotesi di sviluppo realistiche. Che cosa importa, allora? Penso che per prima cosa e in generale si possa dire che si tratta di "rompere il ghiaccio", proprio come quando si fa il primo passo nel conoscere un'altra persona - si tratta di saltare metaforicamente il fossato: in questo caso il primo passo comporta un cambio di prospettiva che ha poco di oggettivabile, perché la sua caratteristica è proprio quella di avere una valenza personalissima avvertita come tale da noi singolarmente. Quello che "la cosa" significa per noi ha la peculiarità di non poter essere lo stesso per nessun altro. Si tratta di quelle occasioni in cui riteniamo che ciò che conta sia la valenza esperienziale personale del vissuto di ciascuno di noi. Casi in cui non conta quello che un altro farebbe "al posto mio".
In questo caso "l'importante è cominciare" ha il significato anche simbolico di operare un salto emotivo non altrimenti operabile che tramite una azione concreta di valenza altamente simbolica per il soggetto personalmente operante - si tratta veramente di un'azione di valenza "magica" nel senso che opera concretamente nella realtà accedendo ad un livello non esauribile in termini razionali.
Si tratta di un caso molto interessante, perchè, al di là della valenza oggettiva del cambiamento che l'azione opera, non si può concretamente sottovalutare il fatto che, nel compiere l'azione, il soggetto operante ha la percezione effettiva che "dopo nulla sarà più come prima". Può darsi che la pensiamo molto diversamente non appena quella azione sarà conclusa ("chissà che cosa mi aspettavo, non è cambiato niente"), ma è così: anche il fatto di dire che non sia cambiato niente è autocontraddittorio, perchè già afferma che è cambiato proprio il fatto che il nostro investimento emotivo in quella azione era altissimo, e averla compiuta ha comportato una sua deflazione.
Si tratta di un aspetto che altrove ho indicato come pensiero esorcistico.

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