martedì 14 agosto 2012

Acclamazione, consenso, dissenso



http://www.scotthyoung.com/blog/2012/08/12/fake-wisdom/


 Mi colpisce molto come S.H.Young evidenzi l'importanza di un dialogo per contraddittorio: se un articolo riceve commenti univocamente entusiasti e positivi, è facile che i lettori abbiano ricevuto una impressione gradevole ma non abbiano compreso l'idea se non secondo il proprio personale preconcetto: si dichiarano d'accordo, ma su qualcosa che non è in realtà la posizione dell'autore.
Se la posizione dell'autore è espressa con più chiarezza e con un messaggio più capace di raggiungere il lettore, facilmente i commenti diventano oppositivi: molti si dichiarano in disaccordo e lo esprimono, entrano in contraddittorio - non condividono l'idea, ma l'hanno compresa più fedelmente.
In questo senso S.H.Y. apprezza il commento negativo: vi trova un segno della capacità dell'autore di veicolare un concetto chiaro.
Suggerisce di chiedersi, man mano che si espone un concetto, se chi legge può raffigurarsi qualcosa di opposto, o comunque qualche aspetto critico da opporre. Se ciò non pare plausibile, può darsi che l'idea non sia accurata: è espressa in modo talmente vago da non avere un significato apprezzabile.
Mi vengono in mente le osservazioni, fatte una volta da una persona che conosco, circa lo stile di contraddittorio, secondo l'esempio del mettere a confronto due opinioni opposte - per esempio, espressamente evocato, secondo il modello di ciò che avviene nei talk show di attualità e nel giornalismo -; le due posizioni, le due voci in contrasto si oppongono, ciascuno esprime la propria, in radicale contraddizione con quella dell'altro: da che parte sta la "verità"?
E' sempre una buona cosa la possibilità di contraddittorio? Una posizione è sempre una op-posizione?
C'è una questione di sintesi molto potente che rimane sullo sfondo e non sembra essere presa in considerazione.
D'altra parte, tesi-antitesi-sintesi mostra qualcosa dell'eterno oppure invece mostra solo il rincorrersi della contingenza, dell'effimero che nell'eterno si inscrive senza incontrarlo mai, senza che nulla di "vero" vi abbia a che fare? Tra finito e infinito, tra effimero ed eterno, quale senso troviamo, che cosa testimoniamo - e in che modo?
Come cerchiamo - se crediamo di cercarle - le cose "eterne", o le cose che contano, che sono importanti?

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